lunedì 31 dicembre 2018

IL DIVINO ERMETE

Nell’antichità Hermes, associato al dio egizio Thoth, fu considerato l’inventore della scrittura, delle scienze e autore di numerosi trattati magico-religiosi. Durante l’Impero Romano i testi ermetici vennero reinterpretati presso la scuola di Alessandria d’Egitto alla luce della filosofia greca, in particolare di Pitagora e Platone, mentre i Padri della Chiesa considerarono Hermes con grande rispetto in virtù delle analogie di certi brani dei Vangeli con alcuni scritti a lui attribuiti. 

Nel 1460 venne portato a Cosimo de’ Medici, Signore di Firenze, un manoscritto ritrovato in Macedonia e attribuito erroneamente a Hermes Trismegistus. Quest’opera, tradotta nel 1463 dal sacerdote e filosofo Marsilio Ficino, venne seguita dalle traduzioni di testi platonici che rivelavano un affascinante concezione del Cosmo. Secondo questa filosofia l’Universo converge verso l’Unità Divina ordinata secondo gradi di perfezione rappresentati dai cerchi concentrici delle sfere planetarie e celesti. Nell’uomo esiste un principio divino, l’Anima, che già durante l’esistenza terrena può condurlo alla contemplazione del Bene Supremo attraverso l’esercizio delle virtù e tramite la meditazione delle diverse entità angeliche. 

Un altro importante aspetto filosofico implicava l’idea che l’universo si riflettesse in ogni cosa esistente. L’uomo era concepito come un “piccolo mondo”, un Microcosmo identico per struttura e contenuto al Macrocosmo. I filosofi del Rinascimento, a partire da Ficino, immaginarono elaborati sistemi di corrispondenze tra gli astri del firmamento e le diverse parti dell’organismo umano. Su questi presupposti avvenne la rivalutazione della magia, dell’astrologia e dell’alchimia, arte ermetica per eccellenza. Tali scienze avrebbero aiutato l’uomo a capire i segreti legami che mantengono unito l’universo e influiscono sul comportamento umano. Così le antiche divinità astrali, Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio, il Sole e la Luna, tornarono a rivestire il ruolo di spiriti potenti e temibili a cui si potevano rivolgere preghiere e interrogazioni per conoscere la sorte degli uomini. Attraverso la costruzione di amuleti, lo svolgimento di particolari riti e la realizzazione di specifiche operazioni, l’uomo avrebbe potuto difendersi dalla potenza degli astri, celata anche nelle pietre e nei metalli, ottenendo la facoltà di catturarla e di servirsene per un’elevazione spirituale. 

Alla filosofia ermetica si ispirò il poeta Ludovico Lazzarelli (1450 - 1500), autore di un’opera illustrata con figure tratte dai cosiddetti Tarocchi del Mantegna, il De gentilium imaginibus deorum e alle operazioni alchemiche fece riferimento anche l’anonimo autore dei Tarocchi Sola Busca (ca. 1490). 

All’inizio del Cinquecento alcune immagini dei tarocchi, come la Luna e il Sole, vennero modificate sulla base dei trattati iconologici del tempo, e, mentre la figura della Torre si arricchì di contenuti biblici (La distruzione della casa di Giobbe), altre furono rese aderenti all’iconografia ermetica. Nella carte delle Stelle, infatti, è rappresentata l’origine astrale dell’anima secondo la concezione platonica, mentre nella carta del Mondo è raffigurata quell’Anima Mundi che, secondo Ficino, rappresenterebbe l’elemento mediatore tra l’uomo e Dio.



Fonte : http://www.letarot.it/index.aspx 

mercoledì 25 gennaio 2017

Guardare il futuro













I cartomanti hanno grosse responsabilità.
Se ti intendi come cartomante come colui che guarda nel mondo di un altro, prima devi comprendere esattamente tutto te stesso.
guardare nel futuro, di un secondo, di un mese o di un anno, è semplicemente guardare il presente espandendolo

giovedì 19 gennaio 2017


La Papessa





La Papessa viene generalmente raffigurata come una sacerdotessa che incarna le virù della fede e della spiritualità, la legge, e la scienza, il presente il passato e il futuro.
Le quaità negative della papessa sono, l' ignoranza, l'ipocrisia, falsità, bigottismo e superficialità.

mercoledì 9 marzo 2016

Suggerimenti e suggestioni

Sri Yantra



Cosa c'è di meglio di qualcuno che in buona fede, e senza pregiudizi, ti indica una via un percorso, la prossima sfida, il traguardo più urgente da tagliare.
Certo, la cosa difficile è proprio nella premessa, trovare qualcuno in buona fede, quindi con il cuore al posto del cervello, e senza pregiudizi, quindi qualcuno che non ti schematizza non appena ti vede.
Con il passare degli anni la pratica della divinazione, è diventata argomento tabù, sia per l'inefficenza e la cupidigia, dei cartomanti, sia per la sciatteria e il qualunquismo di chi le carte se le fa fare.
E' ovvio che il problema deriva direttamente dalla nostra completa perdita di contatto con il divino, tutto il mondo, le azioni e i pensieri, sono diventati materia, e perfino chi si professa spirituale, tende, ad entrare in certi paradigmi, che non gli permettono più di comunicare e vivere il mistero e la bellezza della divinità.
I problemi quindi sono tanti, ma alcuni strumenti possono, aiutarci, a ritrovare il sentiero.
- concediamoci la possibilità di meravigliarci
- evitiamo di entrare nel tritacarne che ci vuole tutti uguali
- capovolgiamo gli schemi di comportamento sedimentati
- impariamo ad osare
Anche farsi le carte, per conoscere in quale punto del cammino sei, può essere un modo, per interrompere la catena.
Ma sono sicura, che ne puoi trovare, mille altri!

lunedì 1 febbraio 2016

SUL SIGNIFICATO DELLE FESTE "CARNEVALESCHE” RENE' GUENON

festa dell'asino
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A proposito di una «teoria della festa» formulata da un socio­logo, abbiamo segnalato [Si veda «Etudes Traditionnelles», aprile 1940, p. 169] che tale teoria aveva, fra gli altri di­fetti, quello di voler ridurre tutte le feste a un solo tipo, costituito da quelle che si possono chiamare feste «carnevalesche», espressione che ci pare abbastanza chiara per essere facilmente compresa da tutti, poiché il carnevale rappresenta effettivamen­te ciò che ne rimane ancor oggi in Occidente; e dicevamo allora che si pongono, a proposito di questo genere di feste, delle questioni che meritano un esame più approfondito. Infatti, l'im­pressione che se ne trae è sempre, anzitutto, un'impressione di «disordine» nel senso più completo della parola; come mai quin­di si constata la loro esistenza, non solo in un'epoca come la no­stra, in cui si potrebbe in fondo, se non avessero un'origine così remota, considerarle semplicemente come una delle numerose manifestazioni dello squilibrio generale, ma anche, e persino con uno sviluppo molto maggiore, in civiltà tradizionali con le quali a prima vista esse sembrano incompatibili?
Non è inutile citare qui alcuni esempi precisi, e menzionere­mo anzitutto, a questo riguardo, certe feste di carattere veramen­te strano che si celebravano nel Medioevo: la «festa dell'asino” in cui quest'animale, il cui simbolismo propriamente «satanico” è assai noto in tutte le tradizioni [Sarebbe un errore voler opporre a questo il ruolo svolto dall'asino nella tra­dizione evangelica, poiché, in realtà, il bue e l'asino, posti ai due lati opposti della mangiatoia alla nascita di Cristo, simboleggiano rispettivamente l'insieme delle forze benefiche e quello delle forze malefiche; si ritrovano d'altronde nella crocifissione, sotto forma del buono e del cattivo ladrone. Quanto poi a Cristo sulla groppa di un asino, al suo ingresso in Gerusalemme, egli rappresenta il trionfo sulle forze malefiche, trionfo la cui realizzazione costituisce propriamen­te la «redenzione»], veniva introdotto addirittura nel coro della chiesa, ove occupava il posto d'onore e riceveva i più straordinari segni di venerazione; e la «festa dei folli», in cui il basso clero si abbandonava agli atti più sconvenienti, pa­rodiando al tempo stesso la gerarchia ecclesiastica e la liturgia medesima [Questi «folli» portavano d'altronde un copricapo a lunghe orecchie, mani­festamente destinato a evocare l'idea di una testa d'asino, e questo particolare non è il meno significativo dal punto di vista in cui ci poniamo]. Com'è possibile spiegare che cose simili, il cui carat­tere più evidente è incontestabilmente quello parodistico o ad­dirittura sacrilego [L'autore della teoria alla quale abbiamo alluso non ha difficoltà a riconoscervi la parodia e il sacrilegio, ma, riferendoli alla sua concezione della «festa» in generale, pretende di farne degli elementi caratteristici del «sacro» medesimo, il che non solo è un paradosso piuttosto esagerato, ma, bisogna dirlo chiaramente, una pura e semplice contraddizione] abbiano potuto, in un'epoca come quella, non solo essere tollerate, ma persino ammesse più o meno uffi­cialmente?
Menzioneremo anche i saturnali degli antichi Romani, da cui il carnevale moderno sembra d'altronde trarre origine di­rettamente, per quanto non ne sia più, a dire il vero, che un ricordo assai pallido: durante queste feste, gli schiavi coman­davano ai padroni e questi li servivano [Si riscontrano anche, in paesi diversi, casi di feste dello stesso genere in cui si giungeva fino a conferire temporaneamente a uno schiavo o a un criminale le insegne della regalità, con tutto il potere che esse comportano, salvo a con­dannarli a morte quando la festa era terminata]; si aveva allora l'imma­gine di un vero «mondo alla rovescia», in cui tutto si faceva con­trariamente all'ordine normale [Lo stesso autore parla anche lui, a questo proposito, di «atti alla rovescia», e persino di «ritorno al caos”, il che contiene una parte di verità, ma, per una sbalorditiva confusione di idee, vuole assimilare tale caos all’»età dell'oro»]. Per quanto si pretenda comune­mente che ci fosse in queste feste un richiamo dell’»età del­l'oro», tale interpretazione è manifestamente falsa, dal momento che non si tratta affatto di una specie di «uguaglianza» che a rigore potrebbe esser considerata una rappresentazione, nella mi­sura in cui lo consentono le presenti condizioni [Vogliamo dire le condizioni del Kali‑Yuga o dell’»età del ferro» di cui fanno parte tanto l'epoca romana quanto la nostra] dell'indifferen­ziazione iniziale delle funzioni sociali; si tratta di un rovescia­mento dei rapporti gerarchici, il che è completamente diverso, e un tale rovesciamento costituisce, in modo generale, uno dei caratteri più evidenti del «satanismo». Bisogna vedervi dunque piuttosto qualcosa che si riferisce all’aspetto «sinistro» di Satur­no, aspetto che non gli appartiene certo in quanto dio dell’»età dell'oro», ma al contrario in quanto egli attualmente è solo il dio decaduto di un'èra trascorsa [Che gli dèi antichi diventino in certo modo dei demòni, è un fatto abba­stanza generalmente constatato, e di cui l'atteggiamento dei cristiani nei riguardi degli dèi del «paganesimo» è solo un caso particolare, ma che non sembra esser mai stato spiegato a dovere; non possiamo d’altronde insistere qui su tale punto, che ci condurrebbe fuori tema. Resta inteso che tutto questo va riferito unicamente a certe condizioni cicliche, e perciò non intacca né modifica in nul­la il carattere essenziale di questi stessi dèi in quanto simboli non temporali di princìpi di ordine sopra‑umano, di modo che, accanto a tale aspetto malefico accidentale, l'aspetto benefico sussiste sempre, malgrado tutto, e anche quando è più completamente misconosciuto dalla «gente dell'esterno»; l'interpretazione astro­logica di Saturno potrebbe fornire a questo riguardo un esempio chiarissimo].
Si vede da tali esempi che vi è sempre, nelle feste di questo genere, un elemento «sinistro» e anche «satanico», ed è da notare in modo del tutto particolare che proprio questo elemento piace al volgo ed eccita la sua allegria: è infatti qualcosa di molto adat­to, anzi più adatto di ogni altra cosa, a dar soddisfazione alle tendenze dell’»uomo decaduto», in quanto queste tendenze lo spingono a sviluppare soprattutto le possibilità meno elevate del suo essere. Ora, proprio in ciò risiede la vera ragione delle feste in questione: si tratta insomma di «canalizzare» in qualche maniera tali tendenze e di renderle il più possibile inoffensive, dandogli l'occasione di manifestarsi, ma solo per periodi brevis­simi e in circostanze ben determinate, e assegnando così a questa manifestazione degli stretti limiti che non le è permesso oltre­passare [Ciò è in rapporto con la questione dell’»inquadramento» simbolico, sulla quale ci proponiamo di tornare]. Se infatti queste tendenze non potessero ricevere quel minimo di soddisfazione richiesto dall'attuale stato dell'umanità, rischierebbero, per così dire, di esplodere [Alla fine del Medioevo, quando le feste grottesche di cui abbiamo parlato furono soppresse o caddero in disuso, si produsse un'espansione della stregoneria senza alcuna proporzione con quel che s'era visto nei secoli precedenti; fra questi due fatti esiste un rapporto abbastanza diretto, per quanto in genere inavverti­to, il che d'altronde è tanto più sorprendente in quanto vi sono alcune somi­glianze abbastanza singolari fra tali feste e il sabba degli stregoni, ove pure tutto si faceva «alla rovescia»], e di estendere i loro effetti all'intera esistenza, sia dell'individuo sia della collettivi­tà, provocando un disordine ben altrimenti grave di quello che si produce soltanto per qualche giorno riservato particolarmente a questo scopo. Tale disordine è d'altra parte tanto meno temi­bile in quanto viene quasi «regolarizzato», poiché, da un lato, questi giorni sono come avulsi dal corso normale delle cose, in modo da non esercitare su di esso alcuna influenza apprezzabile, e comunque, dall'altro lato, il fatto che non vi sia niente di im­previsto «normalizza» in qualche modo il disordine stesso e lo integra nell'ordine totale.
Oltre a questa spiegazione generale, perfettamente evidente quando si voglia riflettervi bene, ci sono alcune osservazioni utili da fare, per quanto concerne più in particolare le «masche­rate», che svolgono un'importante funzione nel carnevale pro­priamente detto e in altre feste più o meno simili; e tali osserva­zioni riconfermeranno quel che abbiamo appena detto. Infatti, le maschere di carnevale sono generalmente orride ed evocano il più delle volte forme animali o demoniache, tanto da essere quasi una sorta di «materializzazione» figurativa di quelle ten­denze inferiori, o addirittura «infernali», cui è permesso così di esteriorizzarsi. Del resto, ognuno sceglierà naturalmente fra que­ste maschere, senza neppure averne una chiara coscienza, quella che meglio gli conviene, cioè quella che rappresenta quanto è più conforme alle sue tendenze, sicché si potrebbe dire che la maschera, che si presume nasconda il vero volto dell'individuo, faccia invece apparire agli occhi di tutti quello che egli porta realmente in se stesso, ma che deve abitualmente dissimulare. È bene notare, perché ne precisa ancor più il carattere, che vi è in questo quasi una parodia del «rovesciamento» che, come ab­biamo spiegato altrove [Si veda “L'Esprit est‑il dans le corps ou le corps dans l'esprit”], si produce a un certo grado dello svi­luppo iniziatico; parodia, diciamo, e contraffazione veramente «satanica», perché qui il «rovesciamento» è un'esteriorizzazione, non più della spiritualità, ma, all'opposto, delle possibilità infe­riori dell'essere [C'erano anche, in certe civiltà tradizionali, periodi speciali in cui, per ragioni analoghe, si consentiva alle «influenze erranti» di manifestarsi liberamente, pren­dendo comunque tutte le precauzioni necessarie in un caso simile; queste influen­ze corrispondono naturalmente, nell'ordine cosmico, a quel che è lo psichismo in­feriore nell'essere umano, e di conseguenza, fra la loro manifestazione e quella delle influenze spirituali esiste lo stesso rapporto inverso che esiste fra le due specie di esteriorizzazione appena menzionate; di più, in queste condizioni, non è difficile capire come la mascherata stessa paia raffigurare in qualche modo un'ap­parizione di «larve» o di spettri maligni].

Per terminare questi brevi cenni, aggiungeremo che, se le feste di questo genere vanno sempre più perdendo importanza e sem­brano ormai suscitare a malapena l'interesse della folla, il fatto è che, in un'epoca come la nostra, hanno veramente perduto la loro ragione d'essere [Ciò equivale a dire che esse propriamente non sono più che «superstizioni», nel senso etimologico della parola]: come potrebbe, infatti, esserci ancora il problema di «circoscrivere» il disordine e di rinchiuderlo entro limiti rigorosamente definiti, quando esso è diffuso dappertutto e si manifesta costantemente in tutti gli ambiti in cui si esercita l'attività umana? Così, la scomparsa quasi completa di queste fe­ste, di cui, se ci si limitasse alle apparenze esteriori e da un punto di vista semplicemente “estetico», ci si potrebbe rallegrare per via dell'aspetto “laido” che inevitabilmente assumono, questa scomparsa, diciamo, costituisce al contrario, se si va al fondo delle cose, un sintomo assai poco rassicurante, poiché testimonia che il disordine ha fatto irruzione nell'intero corso dell'esistenza e si è a tal punto generalizzato da far sì che noi viviamo in realtà, si potrebbe dire, in un sinistro «carnevale perpetuo».

domenica 31 gennaio 2016

Giordano Bruno - Un maestro spirituale scomodo








“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente ed a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, ad una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo … l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo”. 


Aveva la visione intellettiva, o come dicono, l'intuito, facoltà che può essere negata solo da quelli che ne sono senza, e aveva sviluppatissima la facoltà sintetica, cioè guardare le cose da somme altezze e cercare l'uno nel differente

Bastano solo queste parole per comprendere la sua grandezza, che si avvicina moltissimo a maestri come yogi bhajan e osho.

venerdì 29 gennaio 2016

I TAROCCHI E L’ALBERO DELLA VITA

La vera comprensione dei Tarocchi apre l’essere umano alla conoscenza di sé. Più che ad un comune mazzo di carte da gioco, ci si trova di fronte ad un vero e proprio percorso iniziatico, un libro sulla Natura e sul Cosmo e dunque davanti ad una porta per entrare in una dimensione superiore, in cui il disordine della mondanità progressivamente svanisce e nel cui silenzio si riesce a percepire l’influenza del Divino. Un libro per la cui lettura, però, è necessario un approccio diverso dalla mentalità dogmatica, figlia di quel relativismo scientifico che analizza e schematizza.
Riprendendo la precedente tornata, incentrata sulla chiave spezzata e sulla parola perduta, possiamo dire che il libro dei Tarocchi non vuole essere appositamente razionale. Esso è un percorso riservato esclusivamente a coloro che sentono la necessità di intraprendere un cammino di crescita più profondo, staccandosi dalla razionalità positivista e lasciando navigare il proprio sè in un mare non fatto di azione-reazione. Questo è in fondo lo stesso percorso che si presenta al profano quando entra nel gabinetto di riflessione.
Come sappiamo le formule del cosiddetto “pensiero positivo” non bastano a comprendere il significato dei simboli; esso può essere percepito soltanto da chi vi si approccia con la libertà di quel pensiero creativo e sintetico che stimola l’intuizione del ricercatore. La comprensione dei Tarocchi potrà avvenire solamente per colui che, leggero nello spirito, non è abituato a formulare giudizi; al contrario i Tarocchi rimarranno banali carte per la divinazione per i semplici curiosi, intrisi di profane certezze. Il carattere distintivo del grande libro della natura è, infatti, la libertà.



I Tarocchi sono costituiti da 78 carte:
Le prime 22 sono gli Arcani maggiori, contraddistinti da numeri e lettere ebraiche, anch’esse 22, oltre che da variopinte figure; fra queste, c’è una carta non contraddistinta da alcun numero, che raffigura il Matto. Essa può essere separata dai primi 21 arcani maggiori e considerata, per la sua peculiarità, come un elemento di inizio e fine del percorso iniziatico: il matto unisce, infatti, i primi 21 simboli alle successive 56 carte, denominate Arcani minori.
Gli Arcani minori sono divisibili, a loro volta, in quattro mazzi da 14 carte ciascuno, distinti in denari, bastoni, spade e coppe o quadri, fiori, picche e cuori. Secondo questa suddivisione, ad ogni seme viene analogicamente accostato ciascuno dei quattro elementi: terra (denari, quadri), acqua (coppe, cuori), aria (spade, picche) e fuoco (bastoni, fiori).
I 21 Arcani maggiori (senza il Matto) possono essere a loro volta distinti in tre gruppi da 7, in modo da formare i tre lati di un triangolo equilatero, corrispondenti nell’albero della vita ai 3 pilastri verticali.
I 56 Arcani minori, suddivisi in quattro mazzi di 14 carte, compongono invece i 4 lati di un quadrato, contenuto all’interno del triangolo formato dagli Arcani maggiori; in questa raffigurazione il Matto è il punto centrale, equidistante dalle due figure geometriche.
Le prime 22 sono gli Arcani maggiori, contraddistinti da numeri e lettere ebraiche, anch’esse 22, oltre che da variopinte figure; fra queste, c’è una carta non contraddistinta da alcun numero, che raffigura il Matto. Essa può essere separata dai primi 21 arcani maggiori e considerata, per la sua peculiarità, come un elemento di inizio e fine del percorso iniziatico: il matto unisce, infatti, i primi 21 simboli alle successive 56 carte, denominate Arcani minori.
Gli Arcani minori sono divisibili, a loro volta, in quattro mazzi da 14 carte ciascuno, distinti indenari, bastoni, spade e coppe o quadri, fiori, picche e cuori. Secondo questa suddivisione, ad ogni seme viene analogicamente accostato ciascuno dei quattro elementi:terra (denari, quadri), acqua (coppe, cuori), aria (spade, picche) e fuoco (bastoni, fiori).
I 21 Arcani maggiori (senza il Matto) possono essere a loro volta distinti in tre gruppi da 7, in modo da formare i tre lati di un triangolo equilatero, corrispondenti nell’albero della vita ai 3 pilastri verticali.
I 56 Arcani minori, suddivisi in quattro mazzi di 14 carte, compongono invece i 4 lati di un quadrato, contenuto all’interno del triangolo formato dagli Arcani maggiori; in questa raffigurazione il Matto è il punto centrale, equidistante dalle due figure geometriche.

Il triangolo (Arcani maggiori) rappresenta la dimensione spirituale e cioè l’anima, la componente divina che c’è in noi; il quadrato (Arcani minori) rappresenta invece la realtà materiale, dominata dai quattro elementi, mentre il punto centrale, il Matto, è l’uomo, inteso come punto di unione e perno tra il divino ed il mondo manifesto: egli si pone al centro di una mistica croce che unisce la realtà fenomenica (asse orizzontale) a quella dei noumeni (asse verticale).
Da questi brevi cenni, si comprende come il Libro dei Tarocchi possa essere considerato una sorta di enciclopedia delle scienze sacre. Nelle carte degli Arcani maggiori possono trovare riscontro la sapienza ermetico-alchemica e quella ebraico-cabalistica, ma anche l’astrologia e la magia cerimoniale, così come la psicologia sacra, compresa così bene dai custodi degli antichi misteri ed oggi pressoché dimenticata.
In esse è indicata la stessa via del Libero-Muratore, il cui scopo è quello di costruire il proprio Tempio interiore mediante un cammino iniziatico dove ad ogni passo corrisponde una lama dei tarocchi, un percorso che, analogamente a quello cabalistico composto da 22 sentieri, permette all’iniziato di introdursi nelle porte della Verità superiore.
I simboli espressi dai Tarocchi indicano al ricercatore molteplici percorsi per l’ottenimento dell’unico risultato; il percorso iniziatico dunque è quel cambiamento del proprio stato, vero scopo di tutte le Iniziazioni, di tutte le scuole esoteriche e del sapere occulto delle stesse religioni.
Non è un caso che i Tarocchi vengano definiti come un libro di contenuto filosofico e psicologico, una sorta di sintesi delle scienze ermetiche in cui la cabala, l’alchimia, l’astrologia e la magia sono sistemi simbolici paralleli di psicologia e metafisica. Essi rappresentano, sotto forma di complessi simboli, un grande sistema psicologico, che si basa sulla dimensione spirituale come chiave interpretativa del mondo fenomenico: un mezzo complesso e completo per conoscere se stessi e tracciare un intimo percorso che porti l’essere, disgiunto e frammentato, alla dimensione dell’uomo totale.
Lo stesso percorso che possiamo trovare nel VITRIOL, dove attraverso il recepimento dei simboli massonici andiamo a lavorare sulla nostra pietra interiore. Seguendo questa traccia, appare chiaro come la comprensione non debba essere ricercata sui libri, ma nasca da un lavoro reale sul proprio sé.
Tarocchi e cabala ebraica
Possiamo trovare un chiaro parallelismo tra lame dei Tarocchi e la Cabala ebraica; infatti 22 sono le carte dei Tarocchi, così come 22 sono i sentieri che uniscono gli stadi dell’albero delle Sephiroth (detto anche “albero della vita”). L’iniziato, in entrambi i casi, dovrà percorrere 22 passaggi prima di giungere all’equilibrio interiore, o felicità assoluta.
Il primo di questi passaggi è rappresentato nei Tarocchi dal MATTO e nella Cabala dalMalkuthche risiede alla base dell’albero della vita.
Quando nasciamo, in noi si esprime Malkuth, la materia, mentre tutti gli altri sentieri dell’albero della vita sono presenti come percorsi in potenza riguardanti lo spirito. Nei Tarocchi, come il Malkuth nell’albero delle Sephiroth, il Matto è distaccato dal vero e proprio percorso iniziatico; esso rappresenta lo zero totipotente, il viaggio in potenza, punto di partenza dove la sola razionalità non riesce a darsi pace, ma emerge una chiara necessità di anelare a qualcosa di più alto. Il Matto (si chiama matto probabilmente perché sta credendo a qualcosa di apparentemente irrazionale e quindi impossibile) è colui che nel buttarsi all’interno di questo sentiero iniziatico, cerca di dare risposta al proprio stato di insoddisfazione. Egli cerca di elevarsi dalla pura condizione materiale ed il suo percorso avviene attraverso 22 potenziali passaggi, che lo porteranno a 10 successivi stadi di elevazione (corrispondenti alle Sephiroth).
Il Matto è la carta numero zero degli Arcani Maggiori ed è l’unica lama che può occupare 2 posizioni all’interno del percorso espresso dal libro dei Tarocchi: esso può avere una posizione iniziale oppure può essere posto alla fine. Quando occupa la prima posizione, il Matto rappresenta la pura follia che permette di cominciare la vita da zero per ricrearla dal principio. Il suo sguardo perso indica il distacco dalla realtà illusoria. L’animale che gli morde la gamba (lince) rappresenta gli istinti materiali che tentano di legare l’uomo al mondo profano: questo animale tenta di trattenere il Pellegrino e di impedirgli di proseguire nel suo cammino verso la Verità. Il fagotto che il Matto porta sulla spalla rappresenta tutto l’insieme delle esperienze passate che gli rendono difficile il cammino verso la vera conoscenza. Il bastone che tiene nella mano destra ed a cui si sorregge è l’Axis mundi (inteso come asse di collegamento tra il regno della materia e dello spirito): Il Matto è inizio e fine dell’Opera, è anche il saggio che è uscito dagli affanni del mondo ed ha rinunciato a ciò che il mondo poteva offrirgli.
Il Matto dà le spalle al mondo ed ha il coraggio di avanzare verso la conoscenza e la sua figura suscita l’ilarità del popolo, ma egli è indifferente alla derisione altrui derivante dalla sua diversità. Egli è l’eterno pellegrino che cerca di sbarazzarsi delle passioni, dei legami ed è indifferente a ciò che lo circonda, egli cerca il distacco dalle cose terrene e materiali ed affronta il viaggio verso mete irraggiungibili dagli altri.
La figura del Matto, se posizionata alla fine del percorso dei Tarocchi, ha un’interpretazione diversa, in cui il bagaglio del Matto può essere anche, al contrario di quanto detto prima, l’alleggerimento dalle cose inutili, in alchimia espresso dal coagula, una sintesi che permette di portare la Sapienza sempre con sè, avendo sempre in sè il Tempio interiore; e l’animale alle sue calcagna può essere interpretato come stimolo e spinta costante, un fuoco perpetuo, che dà l’energia di andare avanti. Sarà grazie a questo desiderio ed anelito che il Matto (e quindi l’uomo) si spingerà verso il sentiero scelto dalla propria anima.
Il Matto è anche il Filosofo di Platone (mito della caverna, Libro VII della “Repubblica”), che uscito dalla caverna deve ritornavici, pena un suo eventuale e possibile peccato di superbia. Egli è l’inizio di ogni cosa, il vivente nella sua primitiva purezza, l’entusiasmo e l’incertezza, la libertà perfetta e spaventosa, al di là di qualsiasi legame, prima di ogni relazione. Questo è il suo potere, il coraggio o la follia dell’andare avanti, senza pensieri, lasciandosi alle spalle ciò che non serve più.

La prima vera carta del cammino iniziatico espresso nei tarocchi è quella del BAGATTO, raffigurato nella Cabala ebraica dal primo sentiero che da Malkuth porta a Yesod: primo passo che il matto fa quando si rende conto di avere bisogno di innalzarsi ad un livello di comprensione superiore.
Il percorso esoterico continua nella carta della PAPESSA, dove l’iniziato scopre il valore dello studio e la capacità di crescita delle proprie potenzialità latenti; nelle lamedell’IMPERATRICE e dell’IMPERATORE egli percepisce la forza insita in lui di dominio sugli eventi e sugli istinti, ed acquisisce, nella carta del PAPA quella saggezza necessaria a compiere la scelta giusta in virtù della quale conosce le gioie del trionfo espresse nell’Arcano maggiore del CARRO.
Al termine di questa fase, nella carta della GIUSTIZIA, l’iniziato può tirare le somme avendo acquisito la facoltà di discernimento tra le cose giuste e quelle sbagliate, la consapevolezza di se stesso, della propria spiritualità e delle potenzialità di cui dispone (che troviamo nell’arcano dell’EREMITA). Ha potuto inoltre comprendere la vacuità e temporaneità delle cose materiali e la facoltà di imporre il proprio dominio sulla materia (RUOTA DELLA FORTUNA) e sugli eventi descritta nella carta della FORZA. Se l’iniziato, di fronte alla scelta impostagli dal Destino, descritta nella lama dell’INNAMORATO (carta che spinge a una scelta emotiva) non avesse operato la scelta giusta si sarebbe trovato a percorrere una via – la seconda – ben più faticosa e complessa.
Questi sono i primi passi di un percorso iniziatico che vede il suo compimento nella carta delMONDO; ventunesima ed ultima carta dei tarocchi, essa rappresenta la fine del percorso intrapreso dal Bagatto. Il Mondo è il piano divino a cui aspiriamo, la Luce pura, la Forza che emaniamo quando siamo sul sentiero giusto. Plutone è il pianeta che la governa, principio primo di trasmutazione profonda.

Il Mondo, corrispondente al KETER nella CABALA, appare così com’è, racchiuso dalla ghirlanda del tempo ciclico che ritorna all’origine, contraddistinto dai quattro elementi; si tratta di una nuova visione del percorso non più disseminato da ostacoli, come nei precedenti viaggi e che per questo non intimorisce più il ricercatore, poichè lo ha vissuto nella sua interezza sperimentandolo direttamente. Il triangolo adesso è tracciato dentro di sé, perché in colui che ha preso coscienza della propria nullità si è cristallizzata l’influenza spirituale.
Egli ora è parte del tutto, dell’assoluto ed è come il Matto ed è quindi equivalente allo zero. Lo zero metafisico è l’Ain Soph della tradizione ebraica, che è al di là del cosciente e del razionale, l’assoluto che avvolge il relativo, antenato degli dei e degli uomini, al di sopra del bene e del male. La condizione finale è quella dell’individuo assoluto, colui che unisce il Divino (Arcani maggiori) con la realtà fenomenica (Arcani minori), figlio del Padre e al tempo stesso madre di questo mondo, nel quale il tutto è uno e l’uno è tutto.
Il Mondo indica il compimento dell’Opera (equilibrio) iniziata quando il Matto, con le vesti del Bagatto, ha dispiegato davanti a sé il contenuto del sacchetto per giocare. È il risultato del Gioco, la ruota dei Tarocchi giunta al compimento.
Al centro della carta è raffigurata una donna che pare danzare al centro di una corona di foglie verdi, tenendo la mano destra aperta, principio ricettivo, e nella sinistra una bacchetta, principio attivo. La bacchetta è la stessa del Bagatto: ciò che era all’inizio ora è stato compiuto. Sebbene il personaggio sia innegabilmente femminile, questa figura suggerisce l’unione dei due principi, l’androgino realizzato.
Nella ghirlanda di foglie la Dea della Vita corre come uno scoiattolo che fa girare la sua ruota; in questa divinità la giovane donna nuda dell’Arcano è pudicamente velata da un leggero drappo rosso (colore dell’attività). Con la sua corsa incessante, essa rimane fissa al centro del movimento rotatorio da lei stessa mantenuto.
Il risultato è quindi il Mondo generato dall’azione creatrice permanente; la realtà che crea questa azione non è circoscritta a ciò che ricade sotto il dominio dei nostri sensi (strumenti non adatti all’interpretazione del mondo reale), ma soltanto alla materialità fittizia del povero mondo sublunare nella cui penombra allucinante noi ci dibattiamo. Di tutto ciò che esiste noi percepiamo solo il mondo morente, composto da scorie che stanno per fissarsi ed immobilizzarsi nell’apparenza e nell’illusione. Quando finiremo il nostro percorso vedremo il mondo meno grossolano, lo vedremo come un vortice, una danza perpetua in cui nulla si ferma.
Tutto vi gira incessantemente, perché il movimento è il generatore delle cose.


fonte: loggia Giordano Bruno